Tante volte, purtroppo, quando abbiamo chiesto a qualcuno “Ma perché funziona così?”, la risposta che ci è stata data era molto simile a “Perché siamo in Italia!”.
Perché c’è tanta disoccupazione, specialmente tra i giovani? Perché siamo in Italia.
Perché se ne vanno tutti all’estero? Perché siamo in Italia.
Perché a trent’anni vivono ancora tutti a casa con i genitori ed in pochi hanno una vera indipendenza economica? Perché siamo in Italia.
Ma siamo sicuri di sapere davvero cosa significhi essere in Italia? O lo diciamo solamente per sentito dire?
In questo articolo, proviamo a capire un po’ più nel dettaglio cosa significhi effettivamente essere in Italia, specialmente per i giovani, con la speranza che un domani si possa cambiare rotta.
Partiamo con un esempio emblematico.
Si fa riferimento ad un giovane, appena laureato molto brillantemente in ingegneria che, una volta affacciatosi al mondo del lavoro, riceve varie proposte di impiego, anche dalle cosiddette “grandi aziende”. Una di queste gli fa la proposta migliore che lui abbia ricevuto: sei mesi di stage a 1000 euro al mese, seguito da un contratto annuale a tempo determinato e poi, un domani, la possibilità di essere assunto.
Se si pensa a tante altre proposte che i giovani ricevono una volta indossata la corona d’alloro, si può anche reputare una grande offerta quella ricevuta, specialmente dal momento in cui si sta parlando di una “grande azienda”.
Ad ogni modo, il nostro giovane, incuriosito, un giorno si è recato sul sito francese della stessa multinazionale che però ha sede a Parigi e si è candidato per la medesima posizione, ma a qualche chilometro di distanza.
Il risultato qual’ è stato? Che dopo poco stava acquistando un biglietto aereo direzione Francia, dove avrebbe ricoperto lo stesso ruolo, ma in questo caso con una retribuzione mensile di 2400 euro e con un contratto indeterminato, firmato ancora prima che mettesse piede nel gate dell’aeroporto.
Ovviamente tutto è proporzionato, la vita in Francia costa diversamente rispetto a quella in Italia o rispetto a quella in Inghilterra, ma qui non parliamo soltanto di soldi, ma anche di futuro, di speranza, di stabilità, di quello che si vuole offrire ai giovani.
Possiamo dire, ad essere sinceri, che un periodo di prova, o comunque di stage formativo, possa essere un passo fondamentale per capire ambo i lati se si vuole lavorare e collaborare insieme, ma una volta terminato questo, bisogna dare la possibilità di avere un futuro.
Siamo partiti con questo esempio, proprio per dare un quadro di cosa significhi “essere in Italia”; ma del perché tutto questo funzioni così, in effetti non sappiamo dare una risposta, e sarebbe bello che ognuno di noi si impegnasse, affinchè non ci sia nemmeno più bisogno di doverla dare.
È così, però, che ci addentriamo nell’universo dei giovani sottopagati, dei giovani che hanno difficoltà a potersi permettere un affitto, dei giovani che passano da uno stage all’altro per anni, dei giovani che preferiscono talvolta lavorare in nero e dei giovani che smettono di credere in loro stessi.
Sono delusi e preoccupati.
A cinque anni dal conseguimento del ciclo di studi, i giovani, in media, hanno lavorato per tre anni e mezzo e tra questi, meno di tre su dieci, hanno un lavoro stabile. Il 26% di loro, invece è nel limbo dei rapporti a breve termine, il 23,7% invece è disoccupato, mentre il 13,1% studia e lavora allo stesso tempo.
Continuiamo per un momento con i numeri: il 54,65% ha svolto lavori senza contratto, il 61,5% ha accettato un lavoro sottopagato, il 37,5% dichiara di aver ricevuto pagamenti inferiori a quelli pattuiti e il 32,5% non è stato pagato per il lavoro svolto.
Parlando invece di stipendi, possiamo dire che la maggior parte dei giovani abbia uno stipendio inferiore ai 10 mila euro annui e che solo il 7,4% superi i 20 mila euro.
E forse è anche per queste ragioni che la metà dei giovani under 35 vive ancora a casa con i genitori, forse perché non sono soltanto “mammoni”, come spesso vengono definiti all’estero, ma forse perché non se lo possono permettere e purtroppo, tante volte, la colpa non è nemmeno loro.
Non parliamo di quel ramo di giovani “nullafacenti” e contenti di essere tali, che ovviamente esistono in Italia ed in qualunque altro posto nel mondo; ma parliamo di persone che ci credono, che si impegnano, che vengono bocciate ad un esame ed all’appello successivo prendono 30 e lode. Parliamo di giovani entusiasti della vita e del loro futuro, che però, di volta in volta, si trovano porte chiuse in faccia o bastoni tra le ruote.
Parliamo di giovani che perdono stimoli e fiducia, e che prendono i bagagli per volare all’estero.
Di quante persone stiamo parlando? In quasi dieci anni 500.000 italiani hanno scelto di lasciare il proprio paese e le bellezze che nasconde, e la metà di questi sono giovani tra i 15 ed i 34 anni che si allontanano in cerca talvolta di nuove esperienze, ma specialmente di un nuovo lavoro.
Di un lavoro diverso, di un lavoro retribuito maggiormente, o anche semplicemente di un lavoro. Un lavoro e basta.
Perché qui, in Italia, non solo i giovani vengono pagati meno di quanto dovrebbero e rimbalzano come una pallina da ping-pong tra uno stage ed un altro, ma si devono interfacciare anche con discriminazioni poichè definiti “troppo giovani” o “senza esperienza”, venendo spinti con forza in un mondo che li logora, specialmente nell’età in cui si è pieni di energie e di voglia di imparare: quello della disoccupazione.
L’Italia, difatti, è il terzo peggior paese d’Europa per disoccupazione giovanile, con picchi specialmente nella zona del Mezzogiorno. Le due regioni peggiori, per l’appunto, sono a parimerito la Sicilia e la Campania, con una percentuale del 53,6%.
La disoccupazione giovanile in Italia, invece, si aggira attorno al 31,4%.
Dopo questa carrellata tra numeri e percentuali, fermiamoci un attimo.
Tutto questo appena descritto è un sistema che non funziona, un ingranaggio arrugginito che continua a bloccarsi e che prima o poi, se non viene risistemato a dovere, rischierà di fermarsi, limitando il futuro dei giovani, le loro prospettive ed ambizioni.
Sono dati che fanno male come un pugno nello stomaco, perché è proprio questo il mondo in cui viviamo.
Ben vengano le eccezioni, ma purtroppo sono i dati a parlare per noi.
Cosa fare dunque?
Se ti sei ritrovato in questa fascia di età ed in questi numeri, non mollare, non accontentarti. Ricordati sempre quanto vali e sappi che qualcuno se ne accorgerà e ti darà l’occasione che stai cercando.
Se invece stai leggendo questo articolo, ma tutto ciò risulta esterno alla tua condizione e non ti tocca in prima persona, ricordati che, per quanto tu non sia un politico, non possa dettare legge o non possa cambiare le regole, hai un potere più grande di quanto pensi: quello di scegliere.
Scegli di dare occasioni a chi se le merita, di assumere il ragazzo disoccupato, di far crescere professionalmente (e non solo) questi giovani, di aiutare, di essere d’esempio e di non badare se sul curriculum hanno poca esperienza, perché qualcuno, questa famosa “esperienza”, dovrà pur fargliela fare.
Sarebbe bello se quel qualcuno fossi tu.